Pausa di riflessione in prosa, una volta tanto. (Ma meglio che non ci pensi troppo che se no già mi manca, l'andare a capo, e quella sua drammaticità che nessuna punteggiatura sa uguagliare).
Il tema di oggi è: l'universalità versus la personalizzazione versus me.
Non sono una blogger seria (ho provato, giuro, a scrivere "professionista", ma senza le virgolette e dieci mani avanti le mie dita manco ci riescono a mettere già la parola), ma sono seriamente una blogger. Scrivo a momenti alterni, stili alterni, mood alterni e in posti alterni da che ho memoria di avere una mia idea. Questo - questo bianco, questo ticchettio, questo muro invisibile di passanti sconosciuti - è sempre stato il contesto in cui mi sono espressa. Ora, c'è chi mi ha detto che, se hai un blog, o ce l'hai seriamente o non ha senso averlo. Come darti torto, saggio blogghettaro (bloggeraro? bloggaro? bloggolo? vabbè...) che doni perle di saggezza ad una seriamente scema? Logica vorrebbe,
indeed, che lo scopo ultimo di un blog sia la comunicazione con gli altri; ciò può essere ottenuto solo tramite oculate scelte che ne assicurino la visibilità. Da qui a parlare di scelte tematiche, indicizzazione su google, coerenza e stile, ragazzi, il passo è davvero breve. Perché se tutto questo non c'è, allora, così mi hanno detto, allora non è un blog, è un diario personale.
Eppure.
Eppure io c'ho sta cosa, che non so cos'è vi giuro, ma che scriverei dieci post al giorno se solo non ritenessi di non avere neanche il tempo di sistemarli. A me viene di pensare in questa maniera assurda, in cui una cosa che mi accade, o che vedo, si trasforma, davanti ai miei occhi, diventa qualcos'altro, smette di essere mia, privata (percaritàdiddio) e diventa parola, spesso in versi, e finisce in questa scatola dei ricordi digitale. Con l'unico risultato che, oggettivamente, io non racconti niente di me -condannando questo posto a restare "spersonalizzato", per certi versi- eppure vi giuro, vi racconto tutto. Tutti i momenti più importanti. Tutti i momenti più sciocchi, eppure più veri. Tutti quei momenti che mi hanno fatto sorridere con la pancia, o col cuore, o insomma con l'organo che vi piace di più.
Lo so, lo so di non trattare temi universali; ogni tanto ci provo (l'ultimo post è proprio un tentativo in questa direzione; d'altronde, se sapeste da quale sentimento del tutto opposto è nato...) ma spesso non ci riesco. Lo so, lo so di non parlare di me; e se lo faccio tra le righe non si capisce un cazzo, lo so, mi spiace. Ma ragazzi qua, di serio, non c'è nulla: non il tema, non lo stile, non l'intento.
Solo me.