Non scrivere è una sofferenza, per chi è abituato a scrivere.
Pensare di scrivere, in un momento in cui se scrivi, scriverai di matasse di fili confusi, che il capo non sai dov'è, la coda forse neanche c'è, pensare di scrivere di questo groviglio, prima di averlo risolto ti sembra scandaloso, come mostrarsi con gli intestini di fuori, come nel peggiore incubo di Bosch.
Allora lasci che il tempo sbrogli il pasticcio della tua testa, i nodi dei tuoi capelli, e nel frattempo ti lanci, sorridi dietro il fondo del bicchiere, esci e cerchi, cerchi, con insistenza cerchi quella bellezza che sa illuminarti. Cerchi quella scorza, di noce, di agrume, che sappia proteggere, far maturare, eppure ancora succosa e profumata.
Fuggi il cinismo (ché la consapevolezza della mancanza di senso ti sembra già basti), alzi il volume di un gruppo italiano a riempirti le orecchie. Leggi tutti, leggi tanto.
Poi, un giorno, ti svegliano i raggi del sole.
Nulla è cambiato ma, in fondo, non conta.
Ciao tastiera, mi sei mancata.